Case della Carità, l’annuale Festa. Consacrate a Dio e ai poveri, le promesse dei volontari e delle famiglie e i voti delle suore

– da “La Libertà” n. 36 del 20 ottobre 2012 –

Case della Carità: al Palasport di Reggio la festa annuale di Santa Teresa d’Avila.

Quest’anno sono ben cinque i vescovi sul parterre del Palasport: oltre al presidente monsignor Caprioli e al suo Ausiliare Lorenzo Ghizzoni, concelebrano l’arcivescovo di Fianarantsoa e presidente della Conferenza episcopale del Madagascar Fulgence Rabemahafaly, l’arcivescovo abate di Modena-Nonantola Antonio Lanfranchi e il vescovo emerito di Carpi Elio Tinti.
Preti e diaconi in servizio sono più di un centinaio, una trentina le carrozzine schierate tra i poli celebrativi. Come sempre, il clima di festa è palpabile.

Guarda la fotogallery completa

[divide]

[dropcap font=”arial” fontsize=”36″]”C[/dropcap]redo che stasera don Mario (Prandi) abbia gioito con noi e che questa celebrazione ci abbia aperto una finestra verso il cielo”. È quasi senza voce don Romano Zanni, il superiore generale della Congregazione Mariana delle Case della Carità, mentre la sera di lunedì 15 ottobre conclude l’annuale festa di famiglia nella solennità di Santa Teresa di Gesù. Sono passate le sette, fuori dal Palasport di Reggio si è fatto buio da un po’, sta per iniziare il momento conviviale. Don Romano ha un “grazie” per tutti, in modo particolare per i “genitori che, forse con un po’ di fatica, hanno donato le loro figlie” alle Carmelitane minori e per il Vescovo Adriano Caprioli, “vero padre, di quella paternità forte e tenera che non ha fatto mai mancare il suo sostegno”.
La liturgia, iniziata alle quattro e mezzo, segue il canovaccio già collaudato: la processione dalla vicina Basilica della Ghiara, il rinnovo delle promesse nei vari rami della Congregazione, l’animazione garantita dal Coro diocesano e dalle coreografie di donne, bambini, suore e ospiti delle Case che in abiti bianchi e gialli allacciano catene di mani o muovono luci danzanti al ritmo della musica.

[dropcap font=”arial” fontsize=”36″]Q[/dropcap]uest’anno sono ben cinque i vescovi sul parterre del Palasport: oltre al presidente monsignor Caprioli e al suo Ausiliare Lorenzo Ghizzoni, concelebrano l’arcivescovo di Fianarantsoa e presidente della Conferenza episcopale del Madagascar Fulgence Rabemahafaly, l’arcivescovo abate di Modena-Nonantola Antonio Lanfranchi e il vescovo emerito di Carpi Elio Tinti.
Preti e diaconi in servizio sono più di un centinaio, una trentina le carrozzine schierate tra i poli celebrativi. Come sempre, il clima di festa è palpabile.
L’acqua, che fa da corollario ad una giornata piovosa, è anche la protagonista della liturgia, fin da quando, all’ingresso, alcuni di coloro che riceveranno il crocefisso ne versano alcune brocche nel bacile sistemato presso l’ambone, per preparare il gesto della memoria del Battesimo. Il richiamo è anche alla “sorgente che zampilla per la vita eterna” di cui Gesù parla alla Samaritana, nel brano di vangelo proclamato.

[dropcap font=”arial” fontsize=”36″]L'[/dropcap]omelia propone una rilettura dell’Anno della fede sotto il profilo dell’amicizia con Dio e con il suo Figlio. Riandando alla figura di Abramo, che “per fede” partì verso l’ignoto e si trovò nella terra promessa come uno straniero, il Vescovo Adriano sottolinea la libertà del Signore, che prende per primo l’iniziativa. Nell’amicizia con Dio, spiega, sta la ragione dell’obbedienza di Abramo e di Gesù stesso, che ai discepoli dice “Vi ho chiamati amici”, nonché la vocazione di Teresa d’Avila, scaturita da un’intensa vita di preghiera. Per essere come i santi “forti amici di Dio”, sono importanti alcuni talenti, che Caprioli mutua dalla Lettera apostolica d’indizione dell’Anno della fede. Innanzitutto un grande amore per Gesù e la sua parola, ma anche per la liturgia, da prolungare nelle varie ore del giorno e nell’adorazione quotidiana; poi una costante formazione alla carità, ricordando sempre, con don Prandi, che “Il fine è Dio, non il povero”; ancora, “una chiara pastorale vocazionale e una decisa scelta missionaria”, necessarie per ritornare alla gioia della testimonianza, che vale più di mille inchieste o convegni.

[dropcap font=”arial” fontsize=”36″]E[/dropcap] anche da questo punto di vista vocazionale, le Case della Carità si confermano un’eccellenza emiliana. I ventuno ausiliari che ricevono il Crocifisso provengono in buona parte da Sassuolo, da Bologna e dal Modenese, oltre che da comunità del territorio reggiano quali Rivalta, Roncina, Novellara o Reggiolo.
La famiglia che per la prima volta esprime lunedì sera il suo proposito di seguire la specifica “Traccia di vita” – Mirko e Rita Forni, con i figli Benedetta e Simone – proviene da San Giovanni in Persiceto (Bologna), precisamente dalla parrocchia di San Biagio di Zenerigolo.
Da Bologna arriva anche Stefania Selleri, che davanti al Vescovo emette la prima professione: le viene imposto il nome di suor Stefania della Madonna della Ghiara. Stessa “denominazione” (della Madonna della Ghiara) anche per le religiose originarie del Modenese che fanno la professione perpetua dopo essersi prostrate davanti all’altare al canto delle Litanie – suor Francesca Maria e suor Paola Lucia – così come per le tre suore che rinnovano i voti per un anno (suor Maria Alessandra, suor Elena e suor Maria Angelica).
Durante la celebrazione, nel segreto del loro cuore, rinnovano i loro voti di castità, povertà e obbedienza anche i consacrati nel mondo.
“Stefania, suor Francesca Maria e suor Paola Lucia – scrivevano alla vigilia del 15 ottobre le consorelle della Casa della Carità di Cognento (Modena) – oggi ci dicono che è possibile vivere in altro modo, è possibile donarsi, essere se stessi anche con dei sacrifici a favore dei poveri. Non sono delle super donne capaci di gesti fuori dall’ordinario, sono donne normali che hanno deciso di prendere seriamente in mano la loro vita e di rispondere alla chiamata del Padre per quanto ‘strana’ e ‘difficile’ possa essere”.

[dropcap font=”arial” fontsize=”36″]U[/dropcap]no striscione appeso al Palasport, in mezzo ai manifesti “eucaristici” dei tre Pani o dell’ultima cena, porta la scritta: “Solo Dio basta”. È quanto trovano giusto e vero, ogni anno, centinaia di consacrati e migliaia di fedeli che convengono volentieri a questa festa della fede, o quanto ha colto nella sua vita il giovane Satnam Singh, ausiliare della Casa della Carità di Novellara, autore della testimonianza qui riportata.
Il carisma delle Case è missionario nella sua essenzialità.

Edoardo Tincani



Leggi altri articoli di Chiesa

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *